venerdì 1 luglio 2011

Energia da biomasse, un potenziale che comincia a dare risultati


Al settore delle biomasse, come al solare, sarà richiesto un grande sforzo per arrivare a coprire gli obiettivi italiani di produzione di energia da fonti rinnovabili, soprattutto dopo lo stop al nucleare. Probabilmente più di quei 21 TWh al 2020 previsti dal Piano di azione nazionale, che, comunque, rappresentano già un bel salto rispetto al dato di produzione attuale di elettricità da biomassa, pari a circa 9,5 TWh. In più vi sono le crescenti opportunità della generazione di energia termica.
Dalla seconda edizione del Biomass Energy Report, corposo studio dell'Energy & Strategy Group (School of Management del Polittecnico di Milano), emerge tuttavia “un settore ricco di chiaroscuri e in grande attesa per i nuovi meccanismi di incentivazione”, ha sottolineato Vittorio Chiesa, direttore del “Gruppo”. A differenza del fotovoltaico, infatti, le biomasse stanno ancora aspettando i decreti attuativi che consentiranno di applicare i provvedimenti contenuti nel Decreto rinnovabili dello scorso marzo. Il punto più controverso è quello delle aste al ribasso che, relativamente ai grandi impianti (sopra i 5 MW), sostituiranno dal 2013 i certificati verdi che andranno ad esaurirsi completamente nel 2015. All'incertezza normativa si sommano le peculiarità di comparti molto diversi, che rientrano tutti nelle biomasse ma che afferiscono a filiere differenti (lo studio ne individua quattro nell'ambito della produzione di elettricità e calore, oltre ai biocarburanti per autotrasporto). Ne risulta un andamento a differenti velocità, con filiere che si stanno muovendo bene con crescite a doppia cifra, ed altre, invece, che segnano il passo.Grande vitalità per il biogasAlle prime appartiene la filiera del biogas, la più vitale secondo Chiesa: tra biogas di origine agricola e quello da discarica, nel 2010 la potenza installata è cresciuta del 20% rispetto al 2009 (ma il biogas agricolo ha viaggiato a +60%), mentre il numero degli impianti è aumentato del 13% arrivando a oltre 500, corrispondenti a circa 550 Mw di potenza installata, con un volume d'affari complessivo di oltre 900 milioni di euro. Con il regime attuale, per i piccoli impianti fino a 1 Mw il business della vendita di elettricità si presenta interessante: grazie alla tariffa omnicomprensiva (28 centesimi di euro al kWh) gli investimenti in biogas agricolo permettono ritorni superiori al 20% e i tempi di payback sono di circa 5 anni.Un trend interessante caratterizza anche la filiera delle biomasse agroforestali, il cui giro d'affari nel complesso è cresciuto nel 2010 del 15% (per 2,1 miliardi di euro), a beneficio di una filiera che vede dominare le aziende italiane. Ma in questi numeri i sono vi sono differenze anche notevoli. In ambito residenziale - le stufe a pellet installate presso privati e piccole imprese - si prosegue ormai da qualche anno con un tasso di crescita del 10% all'anno, tanto che il mercato italiano, con il suo milione e 200.000 dispositivi presenti, è saldamente il primo in Europa. Il settore è comunque destinato a marciare spedito, spinto dall'obbligo di soddisfare una percentuale crescente (dal 20% del 2012 al 50% del 2017) del fabbisogno termico dei nuovi edifici attraverso le fonti rinnovabili. Anche il mercato del teleriscaldamento lo scorso anno è cresciuto, con un volume d'affari complessivo di circa 100 milioni di euro e un'aggiunta di una ventina di nuove centrali che hanno fatto salire il numero totale a 250 e la potenza termica complessiva a 430 MWt. Il problema è che attualmente il comparto è confinato a tre distretti territoriali: quello Altoatesino-Trentino, il Lombardo-Valtellinese e il Piemontese-Valdostano. Il terzo tassello delle biomasse agroforestali, quello delle centrali termoelettriche, ha vissuto nel 2010 una crescita più contenuta, con soli 10 nuovi impianti (+14% rispetto al 2009, per un totale di circa 120 impianti) e un'aggiunta di potenza di 40 Mw (+8%, per circa 550 Mw complessivi), per un giro d'affari di 1,2 miliardi di euro. Questo è un settore particolarmente colpito da “difficoltà autorizzative e ostacoli normativi, e anche recenti fatti di cronaca non fanno bene” ha sottolineato Chiesa (il riferimento è al caso della centrale termoelettrica del gruppo Scotti Riso a Pavia, dove potrebbero non essere state bruciate solo biomasse).Si muovono gli oli vegetali, fermo l'RsuC'è poi un altro mercato che afferisce alle biomasse, nato da meno di tre anni e che si sta sviluppando rapidamente: quello degli impianti per la produzione di energia elettrica alimentati a olio vegetale: al 2010 l'Italia contava 130 impianti per una potenza complessiva di 630 Mw (+60% rispetto al 2009) e una produzione di 1.990 GWh (+45%), ma da gennaio a giugno 2011 sono già entrati in funzione altri 100 Mw. Il volume d'affari generato nel 2010 è stato di oltre un miliardo di euro, e la filiera è prevalentemente italiana se si esclude la parte a monte dei motori e della componentistica. Le dimensioni di queste centrali sono abbastanza grandi al sud dove, per empio in Puglia, hanno una potenza media di 15 Mw, mentre al Nord la taglia media è nettamente più piccola (1 MW in Lombardia). La proliferazione della piccola taglia dell'ultimo periodo è legata, anche in questo caso, alla generosa tariffa onnicomprensiva (per oli tracciabili Ue).La produzione energetica da combustione di rifiuti solidi urbani, invece, è praticamente in stallo, nel pieno della fase di passaggio dal vecchio sistema di incentivazione dei Cip6 a quello dei certificati verdi (e il passaggio prevede interventi di revamping anche rilevanti): lo scorso anno non è stato realizzato nessun nuovo impianto e la capacità produttiva è aumentata di soli 40 Mw elettrici grazie ad ampliamenti già programmati, anche se esistono progetti per impianti con capacità considerevole. Il mercato vale circa 800 milioni di euro, di cui 460 dallo smaltimento dei rifiuti, 300 dalla vendita) di energia elettrica (comprensiva di incentivi) e 50 dall'energia termica. Oggi vengono trattati circa 4,6 milioni l'anno di tonnellate all'anno di Rsu nei 53 impianti funzionanti, ma con i nuovi progetti si potrebbe aggiungere un ulteriore milione e 670mila tonnellate.

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